L’albero di Corbijn

The Joshua Tree, nelle intenzioni della band, doveva rispecchiare la contraddizione tra la politica estera di Ronald Reagan – portatrice di morte nei paesi del Sud America – e la spiritualità delle tradizioni americane, così care ai cittadini a stelle e strisce.

Tutto l’album si può incastonare nella tematica del viaggio, e ancor più specificatamente, nella ricerca di qualcosa che manca: la canzone d’apertura, Where The Streets Have No Name, è l’esatto opposto di un’altra canzone d’apertura degli U2, A sort of homecoming: nel primo brano viene descritta la ricerca di un luogo “incontaminato” da regole etiche e morali, dove quest’ultime, frutto di un mondo corrotto, creano divisioni sociali ed etniche; nel secondo brano, invece, si descrive la sensazione di tornare alle proprie origini spirituali dopo un viaggio “riparatore”, come se si trattasse della seconda fase, quella del ristoro.

I Still Haven’t Found What I’m Looking For è il diario di viaggio per raggiungere l’amore desiderato, superando i dolorosi compromessi dell’esistenza; With or Without You descrive l’indecisione, la lacerazione interiore nel dover rinunciare ad una parte di se stessi per poter continuare a seguire i propri ideali, è la ricerca per eccellenza, quella dell’Io interiore; Bullet The Blue Sky è l’urlo sguaiato della guerra nell’inferno del San Salvador e del Nicaragua, là dove l’America capovolge i suoi ideali troviamo la faccia oscura dello zio Sam, siamo alla ricerca della contraddizione umana; Running To Stand Still è l’incapacità di uscire dalla gabbia del proprio corpo, la ricerca di evasione tramite uno strumento terribile come la droga; Red Hill Mining Town è la mancanza di lavoro, della speranza, di un futuro, è la disperazione nel vedere la propria vita spazzata via da decisioni altrui, è la ricerca di un appiglio attraverso la notte; In God’s Country descrive la necessità di un cambiamento ideologico a livello politico e morale, Bono canta la (sua) ricerca di nuovi sogni per un’America logorata dal sudicio patriottismo sfrenato; Trip Through Your Wires è la ricerca del piacere carnale, la necessità di lasciarsi andare alla superficialità, e fa da spartiacque verso i brani più cupi dell’album.

In One Three Hill, ancora una volta, si corre verso qualcuno, si scappa dalla paura della morte per cercare di stringere un fantasma sfuggente; Exit, il tormento, la mente umana al limite della pazzia, la ricerca della ragione e dell’intelletto contro la ferocia e la violenza dell’amore spezzato, la pistola come soluzione estrema; ed infine Mothers of the Disappeared, madri in cerca di figli, sangue in cerca del proprio sangue, occhi in cerca di lacrime, menzogne in cerca di verità.

L'albero di Corbijn - U2 nella Death Valley
Gli U2 e l’albero di Giosuè [Death Valley, CA – 1986] | Photo By: ©Anton Corbijn

Come abbiamo visto tutti i brani dell’album si snodano attorno ad un complesso gioco di ricerca e mancanza, descrivendo vari stati dell’animo umano e richiamando, diverse volte, la figura del deserto come identificazione della “tabula rasa” della civiltà, un azzeramento totale, libertà ma anche isolamento. Le vaste vallate americane, con le loro temperature estreme ed il clima arido, rappresentano la “zona neutra”, il limbo nel quale si cammina per poter arrivare alla propria destinazione. Esattamente come i pellegrini del deserto – che attraversarono quelle zone impervie alla ricerca di una terra ospitale – anche noi, durante la nostra esistenza, passiamo varie fasi di transizione sentendoci totalmente neutri verso il mondo circostante, costruendoci un bozzolo nel quale ricerchiamo noi stessi.

Tutto questo è racchiuso in un simbolo che Anton Corbijn trovò – e fotografò – nel 1986 nell’ostile paesaggio della Death Valley: il Joshua Tree. Tale nome gli venne attribuito dai coloni mormoni che attraversavano la Valle della Morte poiché – ai loro occhi – esso ricordava l’episodio biblico nel quale Giosuè alzava le braccia al cielo per pregare.
Ma è grazie alla foto di Corbijn che l’albero è divenuto un’icona, ed anche per chi si fosse avvicinato da poco al mondo degli U2 risulta impossibile non notarlo quasi da subito. Forse è il simbolo che più ci cattura, quello che riesce a far scattare un’emozione nell’animo delle persone perché possiede quel “qualcosa” che sa di familiare.

Quel qualcosa è la solitudine. Quell’albero – sperduto nel deserto californiano – è cresciuto isolato da tutti, vive di stenti e di sofferenze. Ma continua a vivere. E’ riuscito a trovare il suo paradiso terrestre, le sue radici ricevono nutrimento da un terreno arido e impoverito, ma lì sotto, da qualche parte, c’è acqua. C’è vita.

 

Anton Corbijn ha immortalato perfettamente la condizione umana: siamo tutti alberi nel deserto, che lottano per trovare la propria fonte di benessere attraverso l’inferno della quotidianità. Apparentemente siamo uniti, cerchiamo di aiutarci a vicenda, ma in realtà, nel profondo del nostro animo, ci isoliamo, per via della nostra “sete” di esclusività. La contraddizione dell’esistenza – soffrire per continuare a vivere – prende forma non solo mediante la musica degli U2 e le parole di Bono ma trova la propria rappresentazione mistica in quest’albero oramai divenuto leggendario, capace di catturare lo sguardo dell’ascoltatore e di suscitare un forte senso di attaccamento spirituale.

Il Joshua Tree morì nell’Ottobre del 2000 e lì, nel luogo dove ancora giacciono i suoi resti, è stata collocata una targa che cita “Hai trovato ciò che stavi cercando?“, una domanda carica di significato che racchiude in poche parole l’essenza stessa della condizione umana, alla continua ricerca di qualcosa che manca.

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